Unione Europea: salvare la Grecia ha finito per affossarla

    “Dopo decine di anni durante i quali hanno trattato quelli come me ritenendoli credibili solo se erano pronti a tradire quelli fuori che li avevano votati, pretendevano ancora che quelli fuori avessero qualche rispetto per le loro opinioni. In tutta l’America, in Inghilterra, in Francia e in Germania – dappertutto – quelli dentro si stanno accorgendo che la loro autorità si sta spappolando.

    Prigionieri del loro marchingegno, schiavi del dilemma di Summers, sono condannati, come Macbeth, a fare errori su errori fino a quando non capiranno che la loro corona non è l’emblema del potere che hanno, ma del potere che hanno perso. Nei pochi mesi che ho passato trattando con loro, ho colto i segni di quella tragica consapevolezza”.

    Così scrive nel suo memoir “Adulti in una stanza”, edito in Italia da La Nave di Teseo, Yannis Varufakis, l’ex ministro delle finanze greco, che si era opposto ai diktat della troika europea, in quanto contrario ai prestiti forzosi che l’Unione Europea, il Fondo Monetario Internazionale e il governo greco a guida socialista di Ghiorgos Papandreou, avevano imposto al suo Paese così aumentandone il debito.

    “Costringere un paese alla bancarotta a contrarre nuovi debiti a condizione che riduca le sue entrate è una strana e crudele punizione” scrive ancora “La Grecia non è mai stata salvata. Con il prestito cosiddetto di “salvataggio” e gli ispettori della troika entusiasticamente impegnati a tagliare le entrate, l’Unione Europea e il FMI avevano in pratica condannato la Grecia a una moderna versione della dickensiana prigione per debitori, della quale avevano poi buttato via la chiave.”

    Ma, cominciamo dall’inizio.

    Le elezioni del gennaio 2015 in Grecia furono vinte dal partito della sinistra Syriza. Il suo leader  Alexis Tsipras assunse l’incarico di formare il governo e al ministero delle finanze andò un professore di teoria economica dell’università di Atene, Yanis Varoufakis, tornato nella capitale greca dopo due decenni trascorsi a insegnare economia in Australia, all’università di Sidney e, prima ancora, di Glasgow, Cambridge e East Anglia. Varoufakis, nella sua veste di ministro, si trovò ad affrontare la grave crisi che, esplosa in Grecia, era stata ufficialmente annunciata da Ghiorgos Papandreu il 23 aprile del 2010 e che sembrava potesse essere risolta con un prestito di 110 miliardi di euro concertati tra L’unione europea, la BCE e il Fondo monetario internazionale per aiutare il Paese a uscire dalla crisi pagando il suo debito, contestualmente ad altre draconiane misure economiche che contribuirono ulteriormente a impoverirlo, avendo quel prestito vieppiù aumentato il debito.

    Tant’è che quando pochi mesi dopo l’insediamento del governo Tsipras arrivò la scadenza del primo rimborso, la Grecia non era in grado di farlo se non creando un ulteriore sconquasso della sua economia con conseguenze drammatiche per l’intera popolazione che in quei tre anni dall’annuncio della bancarotta si era vista dilapidare risparmi, stipendi, pensioni. Varoufakis, già ferocemente contrario al fatto che un paese indebitato ricorresse ad altri debiti per pagare quelli precedenti, convinto com’era che questi avrebbero ulteriormente ridotto le sue entrate, fece agli enti emittenti due proposte che prevedevano la ristrutturazione del debito e l’ammorbidimento dell’austerità, nel cui tunnel il Paese si era infilato riducendo i consumi e, quindi, produzione e posti di lavoro.

    Varoufakis portò avanti quel negoziato in maniera aggressiva e sicuramente inusuale che, dopo la sorpresa iniziale, provocò la reazione dei creditori, in particolare e non casualmente Germania e Francia, le cui banche erano le più esposte al fallimento. Infatti, il prestito alla Grecia era servito non a salvare il Paese, bensì le banche francesi e tedesche. Da qui la poca flessibilità dell’Europa che il 25 giugno di quell’anno presentò invece al governo Tsipras un ultimatum che, guarda un po’, conteneva un nuovo prestito e ulteriori misure di austerità, tutto sulle spalle del popolo greco.

    La risposta del governo fu l’interruzione dei negoziati e quella di indire un referendum tra la popolazione il cui esito avrebbe stabilito se accettare o meno il diktat dei creditori. Syriza si mise dalla parte del no, con Varoufakis, vero promotore di quel referendum, che dichiarò di dimettersi nel caso avessero vinto i “si”. Si votò il 5 luglio 2015 e ben il 61 per cento della popolazione si trovò con Varufakis. Ma quella notte, in un drammatico incontro con Tsipras, Varoufakis scoprì che il capo del governo la pensava diversamente adducendo ragioni che avevano a che fare con la sicurezza e la tenuta della democrazia stessa. A Varoufakis, per coerenza, non restò che dimettersi quella notte stessa, 162 giorni dopo il suo insediamento al ministero delle finanze.

    Ebbene, la storia di quei 162 giorni, di quanto accadde dietro le quinte, le vicende, i personaggi, con tutti i particolari anche quelli più segreti e scottanti, sono ora narrati nel libro “Adulti nella stanza”. Da esso emergono anche le idee dell’autore che, comunque, ben colgono nel segno le debolezze di questa Europa e la deriva verso la quale si sta avviando se il suo establishment continuerà a non vedere la crisi del proprio progetto così come si è andato configurando nei fatti e negli anni. Crisi tale da dare sempre più forza alle spinte sovraniste e nazionaliste, a spese di una sinistra che non si è posta in maniera critica nei confronti di questa deriva, anzi, spesso favorendola fingendo che tutto andasse per il meglio. Varoufakis si è tirato fuori da questo equivoco.

     


    Carige, basta con le dispute.

    Salita spesso agli onori delle cronache negli ultimi mesi per i rapporti burrascosi tra soci e governance, che hanno visto alternarsi rapidamente dimissioni, nomine, aumenti di capitale e inevitabili  andamenti altalenanti in borsa, CARIGE sembra finalmente aver trovato un punto d’equilibrio in grado di far sperare nella continuità che il mercato si aspetta.

    Finalmente, infatti, a fine settembre i soci hanno approvato il cambio di direzione, votando per il nuovo board, a netto marchio ex Unicredit.

    Pietro Modiano, milanese, 67 anni, una lunga carriera bancaria, due mandati di presidenza della SEA SpA ((la società aeroportuale milanese) è il nuovo Presidente di Banca Carige.

    Al suo fianco, in sostituzione di Paolo Fiorentino, è stato nominato amministratore delegato Fabio Innocenzi, veronese, 57 anni, ex manager UBS, Banco Popolare e Unicredit, insieme a Modiano ai tempi di Alessandro Profumo.

    Vice presidente del C.d.A., in rappresentanza dell’azionista di maggioranza Malacalza, è stata nominata Lucrezia Reichlin, romana, 64 anni, economista, per anni consigliere non esecutivo di Unicredit Group.

    Un primo tenue segnale positivo dalla Borsa si è avuto subito dopo le nuove nomine, col rialzo del 2,38%. Nuovi rialzi anche nei giorni scorsi.

    Ma il lavoro è tutto da fare e non sarà facile. Del resto, il tono delle prime parole di Modiano “Ora non possiamo fallire” è chiaro: la banca è in grande difficoltà, in un contesto generale complesso, con lo spread in salita e i mercati incerti per le decisioni del governo.

    Eventuali errori  potrebbero rendere sistemici i problemi della banca più antica d’Italia, con conseguenze gravissime per tutto il sistema creditizio del Paese.

    Primo impegno nei confronti della Bce è un nuovo piano conservativo del patrimonio unito ad un aumento di capitale entro l’anno.

    Si era parlato di possibili fusioni, ma, secondo Malacalza, in caso di fusione sbagliata, sarebbe fallimento.

    Quasi certe alcune cessioni e l’emissione di un bond subordinato. necessarie ovviamente anche nuove strategie  e riduzione delle spese.

    Molti rischi, dunque, e, in attesa delle prossime novità, concludiamo citando lo stesso Innocenzi che, in occasione della presentazione del suo libro memoir “Sabbie Mobili. Esiste un banchiere perbene?”, edito due anni fa da Codice Edizioni, si pose anche un’altra domanda: “Chi è il banchiere giusto? Non è chi evita i rischi, ma chi li gestisce. Pure sbagliando.”

     

     

     


    CIR e debito pubblico.

    I Conti Individuali di Risparmio (C.I.R.), se dovessero passare nella prossima legge di Stabilità, potrebbero essere operativi già dal 2019. Sull’onda emotiva dello slogan “no alla dittatura della finanza!” e in linea col pensiero sovranista diffuso, questo strumento di autarchia finanziaria è sponsorizzato principalmente da Armando Siri, sottosegretario alle Infrastrutture e ideatore della flat tax leghista,  nonché consigliere economico di Matteo Salvini.

     


    Disoccupazione in calo.

    Dopo dieci anni dal fatidico 2008, anno di inizio della crisi, finalmente i livelli occupazionali migliorano, con qualche cambiamento positivo per le donne.Il 31 agosto l’Istat ha pubblicato i dati relativi a luglio, di cui riportiamo i passaggi più rilevanti “…la stima delle persone in cerca di occupazione diminuisce del 4,0% (-113 mila).

    Il calo della disoccupazione riguarda entrambi i generi e tutte le classi di età. Il tasso di disoccupazione scende al 10,4% (-0,4 punti percentuali su base mensile); diminuisce anche quello giovanile che si attesta al 30,8% (-1,0 punti)….nel trimestre maggio-luglio 2018 si stima una consistente crescita degli occupati (+0,7% rispetto al trimestre precedente, pari a 151 mila). L’aumento interessa entrambe le componenti di genere e tutte le classi di età pur concentrandosi principalmente tra gli ultracinquantenni (+123 mila). Crescono nel trimestre i lavoratori a termine (+113 mila) e gli indipendenti (+54 mila) mentre registrano un lieve calo i dipendenti permanenti (-16 mila).”

    Ci sembra interessante osservare che, nonostante la crescita e il settore industriale siano in rallentamento , il mercato del lavoro abbia recuperato quanto perso nel decennio di crisi, tornando a livelli che non si vedevano dal 2008.

    Altrettanto interessante è analizzare la trasformazione della situazione occupazionale dal 2008 ad oggi. Infatti, sebbene numericamente si siano raggiunti e anche leggermente superati i livelli di 10 anni fa, i cambiamenti sono notevoli.

    Innanzitutto si registra l’invecchiamento della forza lavoro, dovuto sia al fatto che molti giovani scelgono di lavorare all’estero sia al prolungamento degli studi nonché all’aumento dell’età pensionabile.

    Un dato confortante è l’aumento delle donne che lavorano, mentre permane il gap tra Nord e Sud. Aumentano, infine, i contratti a tempo determinato e i part time.

    Non resta che sperare che questa tendenza positiva prosegua nei prossimi mesi.

     


    Pac, fondi pensione, Pir: fare una scelta consapevole.

    Investire è un’azione complessa, comporta opportunità ma anche rischi. Richiede una conoscenza base e aggiornamenti continui nonché l’interazione con consulenti e soggetti intermediari, che devono essere della massima affidabilità.

    Esistono strumenti interessanti anche per coloro che non dispongono di un elevato capitale iniziale da investire, ma vogliono costruirlo nel tempo, accantonando una parte dei propri introiti.

    A tale scopo, è fondamentale conoscere i vari prodotti e individuare i più adatti alla propria situazione. Vediamo i principali.

    Il PAC (Piano di Accumulo) è un piano di investimento programmato mediante versamento periodico di un importo stabilito per un periodo di tempo predeterminato. La gestione degli strumenti finanziari, affidata agli OICR (Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio), si differenzia in base al numero di rate, al totale di rate previste e all’importo versato inizialmente. Normalmente il PAC può essere sospeso o revocato in qualsiasi momento. Poiché l’acquisto è effettuato a prescindere dalle condizioni di mercato sia favorevoli che sfavorevoli, il rischio è assai ridotto e lo sono anche ovviamente i rendimenti. Rappresenta, in sostanza, uno strumento di accantonamento progressivo del risparmio, a basso rischio e basso rendimento. In fase di scelta, comunque, è possibile scegliere la linea di  investimento ritenuta più adatta e un orizzonte temporale più ampio, così da poter ottimizzare rischi e rendimenti.  La tassazione è attualmente del 26% sulla plusvalenza ottenuta dai rendimenti finali. Il PAC è una soluzione di investimento sempre valida, ma soprattutto in questo momento di forte volatilità e incertezza dei mercati, permette al risparmiatore di applicare una strategia efficiente evitando il fattore emotività.

    Il FONDO PENSIONE (che può essere aperto o chiuso), sebbene come modalità sia simile al PAC, in quanto si accantonano somme periodicamente e per un periodo di tempo prestabilito, ha una finalità ben precisa: creare una pensione complementare a quella prevista per legge. Proprio per questo, non si può attingere dal capitale investito prima di 8 anni dalla sottoscrizione ( solo in caso di spese mediche impreviste è possibile derogare a questa regola). Fiscalmente può essere portato in deduzione dal reddito imponibile fino al massimo di 5.164,00 euro. Al raggiungimento dell’età pensionabile, si può decidere per una rendita vitalizia e reversibile ai beneficiari designati o per una liquidazione parziale e rendita vitalizia del  residuo.

    Il PIR (Piano Individuale di Risparmio) è lo strumento di investimento più recente. Pensato per sostenere le piccole e medie imprese italiane, è riservato a persone fisiche residenti in Italia e offre agevolazioni fiscali molto interessanti. Si tratta di un contenitore di prodotti finanziari ma, a differenza dai PAC e FONDO PENSIONE, dove sostanzialmente è l’investitore insieme al proprio consulente finanziario che decide le caratteristiche dei prodotti che comporranno il suo progetto di investimento, presenta caratteristiche ben precise.

    • investimento costituito da almeno il 70% (il restante 30% del portafoglio non ha vincoli) da strumenti finanziari (azioni, obbligazioni, ecc.) emessi o stipulati da imprese con sede legale in Italia o in Europa, ma con stabile organizzazione in Italia, di cui il 30% (corrispondente al 21% dell’investimento totale) in imprese non presenti nell’indice FTSE MIB, società quindi di piccole e medie dimensioni.
    • Massimo importo che si può investire ogni anno 30.000,00 euro per un massimo di 5 anni e un importo totale non superiore a 150.000,00 euro.
    • Per beneficiare delle agevolazioni fiscali (attualmente: nessuna tassazione sul reddito generato dall’investimento, nessuna imposta di successione) , l’investimento deve durare almeno 5 anni.

    Il PIR, in un’ottica di medio-lungo termine, può essere un ottimo strumento per valorizzare il proprio investimento e contestualmente contribuire a sostenere le PMI italiane, sulle quali si basa fortemente l’economia italiana.

    Poiché, come riporta il sito della CONSOB, “investire non è un gioco”, la conoscenza finanziaria di base e l’individuazione di un consulente fidato sono basilari per poter intraprendere un percorso di investimento sereno, scegliendo e costruendo il progetto più adatto alle nostre specifiche esigenze e alla nostra disponibilità finanziaria.

     


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